Lo studio La Factori di Attilio Riccardi si trova alla periferia di Pinerolo, in una delle sue grandi frazioni al confine con la campagna circostante. È un luogo dove si respira ancora un’aria poco contaminata dalla frenesia urbana e trasudante di un’armonia rurale che rimanda ai tempi della nostra infanzia. Lo spazio, pur avendo le apparenze di un home studio, possiede tutti i caratteri di un sala d’incisione professionale, ed è diventato in poco tempo un magnete per buona parte della scena cantautoriale locale. Negli ultimi anni, infatti, molti progetti correlati al Collettivo Cantautori Pinerolesi, di cui Attilio fa parte, hanno preso vita proprio qui. E, ovviamente, è tra le mura del La Factori che Attilio Riccardi ha scritto, eseguito e prodotto “Atti”, il suo ultimo lavoro discografico, terzo album da solista, ammantando le nove canzoni che ne fanno parte di un ammaliante suono elettro-acustico.

Il titolo rivela immediatamente una duplice chiave di lettura. Da un lato, in quanto diminutivo del nome di battesimo del suo autore, denota una forte componente autobiografica. Dall’altro, nel suo riferimento a una terminologia teatrale e letteraria, richiama direttamente il suo processo creativo. L’album, infatti, è stato costruito a partire da uno storybook, in cui Attilio ha riversato riflessioni legate a una particolare fase di transizione personale. Una raccolta di pensieri, un modo per “mettere ordine nel caos”, per raccogliere i pezzi e ricompattarli attraverso l’esternazione artistica, come iconicamente rappresentato anche dalla copertina, dove l’entropia interiore e la parcellizzazione dei pensieri trovano compiutezza nell’avvicinamento ai tradizionali varchi tra le profondità dell’animo e il mondo esterno. La bocca e gli occhi diventano, infatti, potenti strumenti comunicativi, come mezzi di espressione artistica e punti di contatto emotivo, veicoli indispensabili per fornire senso a quella confusione interiore che spesso viene a frantumare le nostre certezze. “Atti”, come ci ha rivelato lo stesso Riccardi, è un viaggio tra le crepe della sua – e forse nostra – esistenza, perché è dalle spaccature sulle pareti che può filtrare la luce, guida e speranza verso una nuova rinascita.
L’album si presenta come una sorta di concept, senza avere la pretesa di un vero e proprio filo logico narrativo. Le canzoni hanno la parvenza di immagini spot, tappe di un percorso il cui disegno complessivo può essere visibile chiaramente solo se si è bravi a unire tutti i puntini. “Atti” è un racconto di formazione, che dai “Frammenti” dei sogni infranti e delle promesse che la vita non ha mantenuto, passa attraverso il dolore delle perdite, la gabbia della depressione, la delusione causata dalle bassezze della natura umana e giunge a una nuova consapevolezza, che consente di acquisire la capacità di guardarsi dentro ed accettare il destino con serenità. Anche grazie alla musica, emblema di ogni qualsivoglia tipologia di creatività, e al ruolo determinante degli affetti e dei piccoli gesti ad essi correlati, si può ritrovare la forza di rialzarsi dopo ogni caduta. Il traffico caotico e l’umanità varia di “Bucarest”, brano di chiusura dell’album, si ergono infine a metafora di un ritorno in superficie, del ritrovamento del proprio posto nel mondo e di un rinnovato coraggio per affrontare le continue sfide della quotidianità.
In tutto questo peregrinare spirituale, c’è anche posto per una riflessione che più o meno consapevolmente sembra allargare il significato di tutto l’album. “Girotondo” si ispira, tra le tante, all’interpretazione più truculenta dell’arcinota filastrocca per bambini, secondo cui essa non sarebbe un innocuo gioco di rime e frasi non-sense, ma un canzoncina creata per avvicinare i bambini stessi ai temi della malattia e della morte, edulcorandone le implicazioni. Si presume, infatti, che essa risalga addirittura all’epoca della peste nera che colpì Londra nel diciassettesimo secolo (v. https://www.geopop.it/giro-giro-tondo-canzone-per-bambini-vera-storia-significato-testo/). Interessante come Riccardi, nel collocare questo momento sospeso all’interno del suo percorso simil-narrativo, trasli il significato della canzone, risemantizzandone parzialmente i versi. Il mondo che cade, insieme alle persone, qui sembra avere a che fare più con la guerra e con le sue conseguenze nefaste, e nel tracciare i profili di un conflitto interiore, questo sì coerente con il bildungsroman dell’intero lavoro, ci induce ad allargare i ragionamenti sulla decadenza del nostro pianeta.
Attilio Riccardi ci ha abituati a canzoni visionarie, scritte per stratificazione emotiva, in cui le suggestioni poetiche hanno la meglio su didascaliche costruzioni diegetiche. Le sue parole scivolano sempre come un flusso di coscienza, in cui l’apparente disordine produce soprattutto l’effetto di un coinvolgimento emozionale. Con “Atti”, in più, Riccardi apre le porte della sua interiorità. E lo fa con uno scarto spiazzante tra l’intimità della prospettiva adottata e la leggerezza di superficie che ammicca al pop e alla dance. Una produzione che vuole soprattutto tirare fuori il lato cinematico dell’estro compositivo del cantautore, quasi a costituirsi come colonna sonora degli “atti” teatrali in cui è strutturato il lavoro.
Se i testi di “Atti”, dunque, sono una finestra aperta sulle profondità immanenti dell’animo del loro autore, è la produzione che ne definisce più compiutamente la consapevolezza artistica. La ricerca timbrica affonda le radici in un mondo di elettronica analogica, spruzzata dalle delicatezze apportate dalle chitarre acustiche, che rivelano specifici punti di riferimento e svelano, al contempo, una spiccata sensibilità estetica, capace di calibrare con grande equilibrio elementi timbrici ricercati in una cornice pop, solo all’apparenza leggera e di facile ascolto. Questo sapiente bilanciamento tra peso emotivo e accuratezza sonora è la vera cifra stilistica del disco, un lavoro che dimostra come l’urgenza di mettere ordine nel caos possa trasformarsi in un’opera coinvolgente e stimolante. “Atti”, con la sua architettura sonora impeccabile e la sua naturale forza empatica, rappresenta l’invito a trovare anche nelle nostre crepe la luce per la prossima, inevitabile, rinascita.
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